Il Catarratto di Tenuta Gatti: un turbinio di profumi di pepe bianco, erbe mediterranee e dalla lunga persistenza gustativa.

di Antonio Carullo

ll Catarratto è una delle varietà a bacca bianca, non solo più antiche, ma anche di maggior personalità e carattere. Nei secoli scorsi era prevalentemente utilizzato insieme al Grillo e all’Inzolia per produrre il Marsala.

Il declino del famoso vino fortificato ha portato con sé anche il progressivo abbandono della coltivazione del Catarratto a cui sono stati preferiti vitigni internazionali commercialmente più conosciuti e remunerativi. Solo negli ultimi decenni, grazie a una maggiore attenzione e valorizzazione delle uve autoctone vinificate in purezza, il catarratto ha lentamente riconquistato un ruolo di primo piano tra i bianchi siciliani.

Oggi rappresenta una delle migliori eccellenze dell’isola e sta finalmente mettendo in luce tutto il suo vero potenziale, per affermarsi definitivamente a livello nazionale e internazionale. 

In Sicilia sono presenti due diversi biotipi, il catarratto comune e il catarratto lucido. I due cloni sono piuttosto simili da un punto di vista varietale. Il catarratto comune ha un grappolo alato e produce uve dal grado zuccherino piuttosto elevato, mentre il biotipo lucido presenta grappoli dalla forma tendenzialmente cilindrica, con acini più piccoli e meno coperti da pruina.

Negli ultimi anni molti produttori si sono dedicati alla valorizzazione in purezza del catarratto. Tra le versioni più fresche e tipicamente varietali, segnaliamo l’Erice Catarratto Calebianche di Fazio Wines, il Catarratto Zafarà di Baglio Oro e il Catarratto Miano di Castellucci Miano. Più complessi e strutturati il Catarratto di Porta del Vento, Catarratto di Nino Barraco,  Catarratto Isula di Caruso & Minini, il Catarratto Shiarà di Castellucci Miano e l’Erice Catarratto PietraSacra di Fazio Wines.

Nicolas Gatti Russo, l’attuale proprietario, dopo aver trascorso gran parte della sua vita in Argentina, poco meno di dieci anni fa decide di stabilirsi in Sicilia. Sono 17 gli ettari vitati dove trovano valorizzazione varietà tipiche come Nero D’avola, Nocera, Cabernet Sauvignon, Sauvignon Blanc, Merlot, Pinot Nero, Inzolia, Grillo e Cataratto. Per chi non lo sapesse il Nocera è un vitigno autoctono della provincia di Messina e oggi sono pochi gli ettari dedicati a questa antichissima uva. Per produrre i suoi vini Nicolas si è affidato a Stefania Lena, una brava enologa che collabora con Nicolas Gatti dal 18 Agosto 2018.

TENUTA GATTI CATARRATTO 2017 Nel bicchiere si percepisce qualcosa di importante già dal colore, note tropicali molto belle e classiche, ma senza surmaturazione. Balsamico e speziato di pepe bianco, nocciole, ma soprattutto floreale di magnolia, noce moscata, buccia di cedro e mirabelle. Bocca in equilibrio raro, del genere che ti viene da versare copioso nei bicchieri e berne in quantità. Il sorso è pieno e la scia minerale è lunghissima. Grande bevibilità complessiva, giovane sì ma anche godibilissimo. 

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Faro Palari ’99: quando la Sicilia si veste da Borgogna

18. Novembre 2017 Degustazioni 0

di Marcello Malta

«È nato il Romanée-Conti d’Italia». Fu questa l’espressione di Luigi Veronelli su “L’Espresso” all’assaggio del Faro Palari di Salvatore Geraci. Sono i primi anni ’90 quando entrambi decidono di salvare la “Faro” e di ridare dignità ad un vino in estinzione. Siamo a Santo Stefano Briga, piccola frazione di Messina che guarda lo Stretto. Salire su queste vigne e guardare ciò che le circonda, dalla terra con forte pendenza, alla collina ricamata da muretti a secco scoscesi e al mare luccicante, fa capire quale straordinario prodigio sia il territorio del Faro. 4 ettari, 600 m slm, 1,5 km dal mare. Unico caso in cui il Nerello Mascalese è vicino al mare. Qui il giorno è caldo e aromatico, la notte ha venti freschi e frizzanti. Solo 15 mila bottiglie tra Rosso e Faro. In Sicilia se non hai altitudine ed escursione termica non tiri finezza: fai marmellata o vini con la cellulite.
Altitudine, alberello, vigne antiche: questa la pozione magica. Geraci non dà resa per ettaro, ma “grappoli per pianta”. Il suo Faro ne fa appena 300 g.
Vino potente e fiero. È un Bordeaux per potenza, un Borgogna per finezza. Prima annata 1990. Da allora punto di riferimento per l’enologia siciliana e italiana per coerenza, stile, precisione e unicità. Degustiamo alla cieca una 1999

È tra granato e rosso mattone. La sua complessità terziaria è un pregio. Profumi affascinanti di ampia maturazione di lamponi, frutti di bosco, cassis. Poi grafite, liquirizia, pepe nero, cacao amaro, tamarindo, speziatura dolce. Note eteree di plastica e smalto. Un salmastro prepotente che ti rievoca l’odore dell’ostrica e dei flutti del mare che si frangono sugli scogli in una giornata d’inverno.
In bocca ha grande impatto ed importante equilibrio. Ha ancora vigoria di tannino e una spalla di acidità sorprendente per i suoi diciotto anni. Classe notevole, esemplare longevità. Molto persistente ed ancora godibile la lunga scia sapida preannunciata in olfazione.
È il “faro” del Faro. Lunga vita a lui.
Barrique nuove per 18 mesi. Vino per appassionati. Più da contemplazione che da gastronomia. Filetto di manzo alla Wellington con cime di rapa saltate e salsa di cassis.
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