Rappresenta una vera perdita per il giornalismo legato al mondo del vino. Forse giova ricordare a chi scrive oggi di questa materia, chi fosse questo personaggio, arrivato giovane dagli USA, innamorato dei vini d’Italia, instancabile nel suo viaggiare in giro per la penisola, pur facendo base a Firenze, sempre pronto a raccontare le sue scoperte di piccoli e grandi produttori. Per più di trent’anni ha redatto la guida Veronelli, lo ha conosciuto “Gino” da vicino e forse poteva far sorridere, osservare due personaggi come loro occuparsi in maniera diversa della stessa materia, ma è stato in realtà un legame vivo e creativo.

Daniel si era laureato in lettere ad Harvard, una cultura che trasudava dai suoi scritti, intriganti e mai banali: aveva descritto i territori italiani in maniera attenta ed innamorata, facendo conoscere al popolo anglosassone una realtà spesso per loro sconosciuta. Si sentiva parte del Belpaese, del quale conosceva pregi e difetti , si arrabbiava convintamente quando venivano fatte scelte sbagliate nelle varie denominazioni, riusciva con la penna a far apprezzare il vino in maniera fisica, sembrava di provare le sensazioni organolettiche attraverso la lettura. E’ stato corrispondente in Italia per Wine Spectator, per International Wine Cellar, per Wine Advocate; Hugh Johnson gli affidò il capitolo sui Vini d’Italia nel suo Pocket Wine Book.

Non era un personaggio però accomodante o facile, nelle degustazioni che vedevano tutti i giornalisti riuniti, era famoso per riprendere tutti a voce alta se il brusio diventava confusione. Famosa la volta nella quale, disturbato durante una degustazione da due ignari passanti che parlavano per strada accanto alla finestra della sala, uscì per dire loro di andare a parlare altrove! Perfezionista nel suo lavoro, non aveva mezze misure o mezzi termini per dire quello che a suo dire non funzionava. I sommelier addetti al servizio erano scelti con attenzione, dovevano seguire i ritmi da lui dettati, e se questo succedeva era capace di elargire racconti bellissimi legati ai produttori dei vini che stava assaggiando: altrimenti non lesinava rimproveri veri.
Amava la convivialità, stare con lui a tavola era divertente, quando raccontava aneddoti e partiva con una risata contagiosa diventata popolare, trascinava davvero tutti. Spiace come sia avvenuta l’uscita di scena, in parte isolato da tutto il mondo che aveva frequentato a lungo, ma è importante che non vada perduta la sua lezione, fatta di attenzione, precisione, maniacalità negli assaggi e tanto amore per il suo lavoro e questa terra: il suo ingrediente segreto per alimentare una passione sfrenata.
La terra ti sia lieve, ma non lo sarà il ricordo che lasci a noi.
fonte: INTRAVINO